Decisioni consapevoli e crescita di carriera: guida pratica verso il successo professionale
- Cinzia Petruccetti

- 26 nov
- Tempo di lettura: 5 min

Nel mondo del lavoro di oggi, veloce e in continuo cambiamento, la capacità di prendere decisioni consapevoli per la crescita di carriera è diventata una competenza essenziale. Molti professionisti cercano risposte fuori: consigli, strategie, opportunità, annunci, CV, recruiter. La verità è che le scelte di carriera migliori non arrivano solo dalla mente analitica, ma arrivano spesso da un luogo molto diverso: la presenza interiore, quel “testimone silenzioso” che osserva ciò che accade dentro di noi mentre viviamo ciò che accade al di fuori – cioè, mentre attraversiamo sfide, dubbi e transizioni professionali.
Questo spazio interiore — noto nella psicologia transpersonale come Sé che osserva — è una delle risorse più potenti per migliorare chiarezza, benessere e direzione professionale. È un concetto antico, presente in tradizioni contemplative come il buddhismo, nella fenomenologia di Husserl, ma anche autori come Eckhart Tolle, Jon Kabat-Zinn, Stanislav Grof e, in Italia, Roberto Assagioli, hanno esplorato in profondità questo stato di consapevolezza non giudicante che può trasformare sia la vita personale, sia la carriera. Ma è anche un concetto sorprendentemente pratico, soprattutto in un’epoca in cui le carriere sono liquide, le identità professionali mutano e le decisioni vengono prese spesso in condizioni di incertezza.
Che cos’è il Sé che osserva e perché è fondamentale nelle scelte di carriera
Il Sé che osserva è quella parte della nostra coscienza capace di osservare, vedere pensieri, emozioni e reazioni senza identificarsi con essi. Non è analisi, non è ragionamento: è presenza pura.
Nelle scelte, personali o professionali che siano, questo cambia tutto.
La maggior parte delle decisioni viene infatti presa dalla mente reattiva, che opera attraverso schemi appresi, paure, aspettative familiari, condizionamenti culturali e vecchie abitudini. È la voce che dice:
“Questo lavoro è più sicuro, lascia stare le tue passioni.”
“Devi accettare quell’offerta, anche se non ti convince.”
“Non puoi cambiare lavoro ora.”
“Accetta quella promozione, è logico.”
“Sii razionale.”
Ma “razionale” spesso significa solo “conforme al passato”.
E la razionalità, quando è guidata dalla paura, smette di essere una guida affidabile.
Il Sé che osserva, al contrario, è quella parte di noi che sa guardare la mente senza identificarsi con essa. Eckhart Tolle lo descrive come il “testimone silenzioso della vita interiore”; Jon Kabat-Zinn, padre della mindfulness moderna, lo chiama “awareness non giudicante”; Roberto Assagioli, fondatore della Psicosintesi in Italia, lo definiva “il punto di autocoscienza libero e luminoso”. In sostanza, è quella parte dentro di noi che crea spazio. E nello spazio sorge la verità: cosa desideri davvero? Qual è la direzione che senti autentica? Dove si trova il tuo prossimo capitolo professionale?
Quando attiviamo questa presenza, smettiamo di essere in balia dell’automatismo e iniziamo a vedere le motivazioni profonde dietro le nostre decisioni.
Perché la consapevolezza è decisiva nelle scelte di carriera
Nel coaching, una delle prime cose che noto è come le decisioni siano spesso prese in modalità “sopravvivenza”, non “direzionale” o “creativa” (se volessimo ispirarci a termini molto lungimiranti dei videogiochi dei miei figli).
Il Sé che osserva permette tre cambiamenti radicali… e una logica conseguenza:
1. Distingue bisogni autentici da aspettative esterne
Osservando i nostri pensieri dall’esterno, diventiamo capaci di capire se una decisione nasce da un desiderio interno o da un tentativo di compiacere qualcuno, o da un’imposizione esterna volta a salvaguardarci da potenziali conseguenze negative (modalità sopravvivenza).
2. Riduce l’ansia decisionale
La presenza interrompe l’automatismo del pensiero. L’ansia nasce dal tentativo della mente di controllare tutto (modalità sopravvivenza). La presenza, invece, accoglie e ascolta. Come ricorda Jon Kabat-Zinn, la mindfulness “ci restituisce la padronanza della nostra vita” (modalità creativa).
3. Porta chiarezza nelle decisioni
La consapevolezza permette di vedere con assoluta stabilità e fermezza ciò che sta accadendo. Ci porta oltre la narrazione del “dovere” (modalità sopravvivenza) e ci fa notare ciò che sta emergendo e chiedendo ascolto: nuovi valori, nuovi desideri, nuovi ruoli possibili e bisogni emergenti (modalità creativa). Molti professionisti brillanti rimangono bloccati a lungo in ruoli che non sentono più loro perché non sono abituati a prendere decisioni da uno stato di presenza.
4. Migliora quindi leadership e comunicazione
Come afferma Daniel Goleman, padre dell’intelligenza emotiva, “la consapevolezza è la base della libertà psicologica”, è “la competenza che determina il livello di tutte le altre”. Definisce la consapevolezza come la base della libertà nelle decisioni, senza consapevolezza infatti non c’è vera libertà professionale. Quindi, un professionista che osserva sé stesso reagisce meno, ascolta cosa è davvero necessario, prende allora decisioni consapevoli, e guida meglio.
Mente reattiva vs presenza osservante: la differenza che cambia il destino professionale:
La mente reattiva reagisce
Il Sé che osserva decide
La prima risponde al passato, la seconda apre al futuro.
Molte carriere rimangono bloccate non per mancanza di talenti, ma perché le decisioni vengono prese da uno stato di confusione o paura. Quando portiamo presenza e osservazione nei nostri processi mentali, emergono criteri decisionali più profondi: integrità, senso, autenticità.
Come attivare il Sé che osserva: alcuni esercizi pratici
Ecco alcuni esercizi base che possono essere utili per iniziare ad arrestare e fare un reset del sistema, per un riavvio in modalità “creativa”:
1. La micro-pausa dei 10 secondi
È un esercizio semplice ma potentissimo: Prima di dire sì, prima di rispondere a un’e-mail, prima di prendere una decisione lavorativa importante, fai dieci secondi di silenzio interiore. Respira profondamente, fai una pausa e chiediti: “Chi sta guidando in questo momento: la paura o la mia verità interiore?”. Quindi: “Quali sono le conseguenze di questa decisione?”. Se le prime risposte sono: così non dovrò fare questo, rischiare quello, allungare, ecc… se il “non” e l’evitamento di problemi sarà il tema centrale di ogni conseguenza, molto probabilmente non stai creando e costruendo, ma difendendo (modalità sopravvivenza).
2. Body Scan di 2 minuti
Il corpo non mente mai, è un alleato prezioso. Il dott. David Hawkins, ricercatore spirituale e psichiatra, ha evidenziato come le tensioni del corpo reagiscano immediatamente a scelte non in linea con la nostra verità interiore: Nota dove senti tensione quando pensi a un certo lavoro o ad una scelta.
Senti contrazione quando pensi a un’opportunità?
Senti espansione? Fiducia?
Questo è un segnale potente. Ascoltalo!
3. Diario dell’osservatore
Ogni sera prima di dormire crea un tuo diario e annota:
una scelta fatta in automatico
una emozione che ti ha guidato senza che tu te ne accorgessi
una scelta fatta con presenza
Dopo alcune settimane, noterai differenze radicali.
Il Sé che osserva come competenza professionale del futuro
Quindi, in un’epoca in cui AI, automazione e nuove forme di leadership stanno trasformando le organizzazioni, la vera competenza distintiva non sarà sapere cosa fare, ma sapere chi sta decidendo dentro di noi, sarà la consapevolezza.
Chi sa osservare sé stesso:
prende decisioni più etiche e autentiche
naviga l’incertezza
resiste meglio allo stress
comunica con chiarezza
riconosce e ascolta la propria direzione professionale
non vive la carriera per inerzia, ma per scelta
Come scrive Ken Wilber, “La consapevolezza è l’unica vera costante dello sviluppo umano”. E forse anche di una carriera davvero nostra.
L’arte di non rispondere subito
Viviamo in un mondo che ci chiede velocità, multitasking, reattività rapida e immediata. Ma le scelte che cambiano la vita nascono spesso da un tempo lento. La presenza, infatti, fa il contrario: rallenta, osserva, permette alla verità di emergere.
Il Sé che osserva non è un concetto spirituale astratto, ma una competenza professionale potente. Invita ad una rivoluzione interiore: smettere di identificarsi con i pensieri e cominciare a guardare chi sta pensando. Quando impariamo a guardare i nostri pensieri invece di farci guidare da essi, le decisioni diventano più limpide, più sagge, più allineate.
Da quel luogo, ogni scelta diventa più cristallina e autentica, più nostra.
Iniziare è semplice: un respiro, una pausa, un punto del corpo che chiede attenzione e il respiro che avvolge quel punto... Da lì, tutto può cambiare.



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